Riassunto
Che cosa avviene in un tranquillo paesino di montagna in Piemonte, quando alcuni dei suoi abitanti tornano dalla morte? Non è un horror.
I Buonanima – Oltre morte e vita
Uno dei primi libri che mi sono portata a casa dal Salone del Libro 2024. È un momento solenne, perché capita pochissime volte che riesca a leggere un libro del Salone a pochi mesi di distanza dallo stesso. Da un’altra prospettiva, sono anche tanti; i lettori, però, vivono in un’altra dimensione e per loro, il tempo di lettura e di scelta del libro è regolato da altre norme, rispetto a quelle solite temporali.
Ammetto che ho smesso di lottare contro il senso di vergogna per non essere in grado di leggere più velocemente, e con maggiore voracità rispetto a qualche anno fa. Preferisco concentrarmi di più sulla voce dei personaggi, sulle onde in continuo movimento dei loro pensieri e delle loro emozioni.
Una storia come quella dei Buonanima, inoltre, merita molta attenzione e concentrazione.
Sinossi
Autunno 1965. A Vàule la vita procede scandita dalle stagioni e non succede mai niente. Nel tranquillo paesino di montagna, però, le cose stanno per cambiare: qualcuno di inaspettato farà il suo arrivo, e qualcun altro tornerà da dove è impensabile tornare. Le esistenze dei vàulesi subiranno imprevisti mutamenti e non tutti saranno disposti ad accettare la comparsa dei Buonanima.
Un piccolo borgo piemontese circondato e regolato dalla natura; una realtà isolata dove tutto tarda, i velenosi influssi del fascismo a scomparire e gli effetti del boom economico a manifestarsi; una storia che affonda nell’anima delle persone, fino ai valori più nobili e agli egoismi più biechi, sentimenti che provocano reazioni opposte di fronte a ciò che non si conosce e a chi è diverso, che può diventare una risorsa o una minaccia. Insomma, Vàule è un microcosmo che si fa metafora di un mondo più ampio e i suoi abitanti, come tutti, dovranno decidere da che parte stare.
Ernesto Chiabotto
I Buonanima
Pag. 368
Che cosa mi ha lasciato il libro?
Dopo l’ultima pagina, ho pensato: Questo è un libro che insegna. Insegna a conoscere e a riconoscere la realtà umana di rapporti, pensieri, emozioni.
Mostra quanto sia facile farsene trasportare e influenzare, e anche accecare.
Quanto sia facile passare dall’una all’altra, nello spazio di un battito di ciglia.
Quanto sia difficile scegliere con chiarezza se si permette alle emozioni di avere il sopravvento.
Quanto sia facile cedere il controllo della propria mente a qualcun altro, o alle proprie opinioni.
Quanto sia difficile credere nella bellezza e nell’armonia e vivere ispirati a esse.
Tutto questo intrecciato ad una narrazione molto fluida, ricca, seria e divertente. L’autore ha tenuto le redini di un intero paese con mano ferma, dolce e partecipe allo stesso tempo. Non c’è giudizio verso l’ottusità e la paura di chi non vuole crescere ed espandersi, esclusivamente preoccupato di mantenere il proprio benessere, anche minimo, e i propri privilegi. Il suo occhio è benevolo, mai paternalistico. Gli esseri umani sono perfetti perché sono una mescolanza ricchissima di elementi luminosi e scuri, in infinite gradazioni, e nei personaggi del libro emergono con chiarezza.
Quando entriamo nella narrazione, siamo a Vàule, nel 1965, un piccolissimo paese di montagna in Piemonte. Uno di quei paesi in cui la vita ha binari tranquilli e sempre uguali: le persone si conoscono tutte, da generazioni, hanno un animo semplice, pragmatico, modi spicci e poche fantasie in testa. Tutta l’Italia è disseminata di posti del genere, dalle Alpi fino alla Sicilia.
A Vàule, però, in quell’autunno del 1965, qualcosa cambia. È un evento di piccole e grandi dimensioni, allo stesso tempo. Mariuccia, una giovane sposa che vive con il marito in una baita poco fuori Vàule, inizia la sua mattinata come tante altre, con il caffellatte della colazione e i suoi lavori domestici. Essendo in autunno, stagione di funghi, Mariuccia si addentra poi nel bosco vicino per cercarli. Invece di qualche bel porcino corposo, però, trova… un bambino. Lunghi capelli arruffati, profondi occhi azzurri, sporco, e silenzioso. Una creatura dei boschi… ? Mariuccia non è un’adolescente che si perde in storie fantasy o di folklore, e il suo occhio di montanara pragmatica esclude subito l’opzione, preoccupata com’è di soccorrere il bimbo. Se si è perso nel bosco, si dovrà poi cercare la sua famiglia, contattarla per riportarglielo, chissà come saranno angosciati i suoi genitori!
Il bambino, che si rivelerà poi una bambina, è una creatura deliziosa. Mariuccia sente già un profondo affetto per lei, spinta dal desiderio di maternità che ancora non si è concretizzato. Aiutata dalla madre Lena e dal marito Giovanni, si occupano di cercare la famiglia della bimba, che hanno chiamato Celeste in assenza di altre informazioni. La creatura, per quanto un vero tesoro, non parla e niente su di lei fornisce un minimo indizio della sua provenienza. Si rivolgono anche alle autorità, che a Vàule sono rappresentate soprattutto dal dott. Garnero, medico e sindaco, per la parte temporale, e da Don Giulio, il parroco, per quella ecclesiastica.
Celeste sembra spuntata dal nulla, quasi come un funghetto di quelli che Mariuccia era partita a cercare quella mattina. Sembra naturale accoglierla in casa, almeno finché non si saprà qualcosa di più…
Un cambiamento piccolo, in fondo. Grandissimo per questa coppia di giovani sposi che desideravano così tanto l’arrivo di un figlio, interessante e nuovo per il resto del paese che può lanciarsi in congetture e ipotesi su questa bimba misteriosa per un po’ di tempo.
Passa pochissimo tempo, e si scopre che l’arrivo di Celeste non è l’unica novità per Vàule.
Qualcuno ritorna. Non dall’estero, e nemmeno dalla città.
Dall’oltretomba.
A questo punto è facile richiamare alla memoria i migliaia di film horror sugli zombie, i vampiri e tutti quelli che varcano quella soglia al contrario. Qui non c’è niente di tutto questo, l’autore non ha scritto un horror. Non ci sono presagi bizzarri, l’aria non si fa pesante di vibrazioni maligne, le notti non portano paura e sangue, come in Stephen King.
Con molta semplicità, quasi per rispettare la caratteristica innata della vita di Vàule, e dei suoi abitanti, un giorno ritornano in paese alcune persone passate a miglior vita nei mesi e negli anni precedenti. Sarebbe facile chiamarli zombie, influenzati come siamo dalla cultura e dagli usi americani, ma qui sono i Buonanima. È l’appellativo con cui si ricordano i defunti, in segno di rispetto e di affetto, ed è così che i vàulesi (vivi) li chiamano. Certo, sono sconcertati e anche un po’ spaventati all’inizio, perché una delle fondamentali leggi della vita è stata appena rovesciata e gli stessi Buonanima non sanno dare spiegazioni.
Sono diversi, questo è chiaro. Non sono cadaveri in disfacimento, assetati di sangue e carne viventi, non sono mostri senza ricordi, aggressivi e feroci.
Conservano l’aspetto che avevano prima di morire, profumano di fiori, ricordano perfettamente chi sono, che cosa facevano, e i loro amici e parenti. Non sono aggressivi, né violenti.
Anzi.
Oltre alla diversità più evidente, l’essere morti ma inspiegabilmente in vita, sono quieti, parlano un italiano perfetto che non conoscevano quasi per nulla prima del loro funerale, conoscono tantissime cose di cui prima non sospettavano nemmeno l’esistenza, non sentono gli stimoli della fame, del freddo o del sonno.
Un vero mistero sbalorditivo. Come li accetta Vàule? Sono amici e parenti, persone conosciute da anni, che si sono viste crescere e invecchiare. Sono la perpetua di Don Giulio, una maestra elementare e le sue sorelle, un imbianchino… persone che avevano le loro radici in Vàule, o che le hanno messe, e che facevano parte del tessuto stesso del paese. All’improvviso però, sono anche estranei.
Hanno desideri e creatività nuovi, questi Buonanima. Sono gentili, amorevoli e desiderano far crescere Vàule. Si impegnano a creare, danno inizio a nuove attività, cercando di coinvolgere i vivi. Forse è per questo motivo che sono tornati… ? Per mostrare un altro modo di vivere la vita, facendo della bellezza e della creatività nuovi presupposti e fondamenti? E i vàulesi, quanto sono disposti ad accoglierli e a guardare nella nuova direzione indicata dai Buonanima?
Qui entriamo nella parte più complessa e affascinante del libro. Qui dobbiamo rallentare e goderci ogni minuto dello svolgimento della trama. Passo dopo passo, emozione dopo emozione, pensiero dopo pensiero, assistiamo all’evoluzione del confronto tra vivi e morti. Dobbiamo decisamente oltrepassare, però, questa categorizzazione, e concentrarci sulle relazioni, su come gli esseri umani si comportano di fronte a eventi che sconvolgono certezze e luoghi comuni, su come la bellezza qualche volta si trasforma in rabbia, il desiderio di fare del bene si tinge di rancore quando viene rifiutato per paura e ottusità.
Consiglio di leggere questo libro con molta, molta attenzione e anche un po’ di lentezza, facendo spazio al suo messaggio e ai suoi consigli. Facciamo attenzione alle situazioni in cui i personaggi interagiscono, tentiamo di vedere se in qualche modo le abbiamo vissute anche noi, e in che modo hanno influenzato le nostre vite.
E ascoltiamo i dialoghi dei personaggi, perdiamoci anche un po’ nel dialetto piemontese che fiorisce nei loro discorsi e che aggiunge colore e vivacità alle parole. Lo stile narrativo di Ernesto Chiabotto è fatto anche di questo, di un leggero humour derivante dal dialetto, che avvolge un modo di raccontare fluido e sempre scorrevole.
L’autore – Ernesto Chiabotto
Nato nel 1958 a Torino, dove vive da sempre. Studi scientifici e laurea in farmacia, scrive da quando era al liceo.
Ha esordito nel 2010 con la raccolta di racconti Collezione (quasi) privata, e altri racconti sono compresi in diverse collane antologiche di Neos edizioni: Natale a Torino, Spirito d’estate, Nulla più come prima, Pagine in viaggio; suoi lavori compaiono anche nei volumi di Edizioni della Sera, Torino Centro e Tifosi granata per sempre.
Con Neos edizioni, ha pubblicato i romanzi Il Custode, nel 2014 e Il viaggio delle verità svelate nel 2019, entrambi premiati in diversi concorsi nazionali. Dal 2020 è il curatore della collana antologica TuttoSotto, dedicata alle short story di genere noir ambientate in Piemonte e dal 2022 fa parte del comitato editoriale della casa editrice.
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