I libri chiamano e viaggiano. Le trappole dell’anima, di Stefano Peiretti ed Elisa Gani, non fa eccezione. Uscito ad aprile per Pathos Edizioni, era al Salone del Libro #salto19, per una presentazione affollata cui non sono riuscita ad andare per spostamenti di orario all’ultimo minuto. Però, quella copertina elegante e minacciosa mi arrivava sempre davanti agli occhi: in una locandina, o in un post. Finché il libro intero non è arrivato nelle mie mani, accompagnato e firmato dal suo autore!
Raccontami, carissimo, di cosa volevi parlarmi?
La sinossi
La violenza sulle donne si può raccontare da due prospettive diverse: l’amore sognato e l’amore preteso. Una doppia trappola che prima ti inebria con il suo nettare, poi ti stringe nella morsa acuminata della verità. I due protagonisti ci accompagnano tra le pieghe di questo sentimento ambiguo come cronisti in bilico tra istinto di sopravvivenza e rassegnazione. Martina vuole salvare il proprio compagno ma ne è vittima, mentre Paolo, l’amico ritrovato, tenta di frenarne la deriva. Le loro voci si intrecciano in una storia disperata fatta di violenza e umiliazione. Una storia che, grazie ad una scintilla di consapevolezza, diventa testimonianza di redenzione.
Il mio dialogo con il libro
… ecco, cosa voleva dirmi. Ho chiuso il libro e sono rimasta un momento seduta, a lasciar sfumare tutte le voci dei protagonisti, le domande, gli echi e le risposte che mi ha lasciato in testa. Un puzzle di libro, in cui Paolo e Martina sono le voci più forti di un quartetto di persone, i personaggi principali, e sono quelle che questa creatura di carta utilizza per trasmettere il suo messaggio. Un messaggio molto potente, a più livelli, condensato in una sola parola che un’impaginazione estremamente curata e creativa, nonché lungimirante, ha inserito in tutte le pagine. Si tratta di STOP, come vedete in foto. Ed è anche elegante, un bel motivo decorativo… che si fa sentire, dall’inizio alla fine.
A cosa dice STOP, questo libro? Alla violenza sulle donne, si può rispondere in modo facile e anche un po’ riduttivo. La storia al centro del libro è una di quelle che io chiamo horror reale, ben diverso da quello che contiene vampiri e mostri. Claudio e Martina sono una coppia giovane, lui infermiere e lei medico ortopedico, che lavorano insieme nello stesso ospedale. Si conoscono, si frequentano, si confidano (soprattutto Martina, che arriva da una separazione e dalla continua ansia di essere una buona madre per il piccolo Andrea di otto anni), si piacciono, si innamorano. Lui è così dolce, presente, premuroso, innamorato, pieno di fuoco e di dedizione per lei. Il Paradiso in terra! E tutto per lei! Oh, che donna fortunata!
… beh, almeno finché la vernice della facciata scintillante dura.
Seguiamo Martina mentre racconta, dapprima perplessa e poi allibita, di come il Principe Claudio si trasforma nell’Orco Claudio, nel giro di pochissimo. Cominciano le piccole gelosie e insofferenze perché Martina ha un figlio bambino di cui occuparsi e non può giocare sempre alla Principessa Adorante del Gran Principe Azzurro. E poi le battutacce cattive, gli insulti, anche pesanti, il disprezzo rovesciato a piene mani su di lei, sul suo essere madre e donna. Sono parole brutali, feroci, dette con altrettante brutalità e ferocia. Martina non è remissiva e si difende, e si stanca. Passata la tempesta, il Principe Claudio ritorna con la sua brillante calzamaglia azzurra, le sue canzoni dedicate, le sue parole di scuse grondanti miele… e Martina piomba in pieno in questa rete fatta di interscambi tra Orco e Principe.
E questo inizia a logorarla.
Vede la sua vita inclinarsi inesorabilmente. E lei comincia a scivolare, a rotolare come una pallina su un piano inclinato. Va giù, va giù, non si ferma.
Mentre cominciavo a temere fortemente una conclusione orribile di quella corsa, qualcosa cambia.
Martina pensa di essere sola contro tutti, su quel piano inclinato che è diventata la sua vita. Qui si inserisce Paolo, almeno più attivamente. Si è già presentato all’inizio, conosciamo lui e la sua famiglia, sua moglie Teresa e due figlioli bambini. Ora veniamo a sapere che era un vecchio amico di Martina, che ritrova per caso in ospedale grazie ad un piccolo infortunio.
Paolo conosce una Martina diversa, ed è un buon osservatore. Lividi, segni sgradevoli sul viso, l’espressione spenta. Supportato dalla moglie Teresa, riesce a mostrare alla donna che esiste qualcos’altro oltre la gabbia ormai non più dorata in cui si è infilata. Quando Martina accetta quelle mani tese, dopo aver guardato allo specchio l’inferno, il suo percorso cambia radicalmente.
Il suo piano inclinato smette di inclinarsi. La pallina non rotola più.
C’è un’altra vita, altre possibilità, altri spazi. La gabbia è in frantumi, spazzata via in un angolo.
Ammetto che ho letto il libro in semi-apnea, spesso in una nuvola scura di rabbia quando leggevo certe parti. Non solo quelle della violenza di Claudio nei suoi momenti di Orco. Era facile prendersela con chi è chiuso nel suo mondo di dolore così stretto, che non riesce a vedere altro, e per non soffocare riversa la sua rabbia su chi è a tiro. Ero arrabbiata perché sono cascata anch’io, con altre manifestazioni e molto più leggere, nella stessa gabbia in cui Martina si è buttata a capofitto.
Quella del ritenersi meritevole di tutto il disprezzo che Claudio le buttava addosso ad ogni piè sospinto. Quella di arrivare a odiare se stessa perché qualcun altro era talmente pieno di sofferenza e di odio per se stesso, da non trovare altro modo di infliggerlo a lei.
Quando Martina arriva a guardare in faccia l’inferno creato dall’odio per se stessa, instillato ad arte da un incapace di vivere e superare i propri inferni, e sta per fare un passo avanti e concludere nel peggiore dei modi un inganno brutale ai propri danni, la sua vita risponde in modo inaspettato. E improvvisamente Martina apre gli occhi, vede altro, e fa un passo indietro dal baratro. E poi un altro. E un altro ancora, fino a girarsi e a precipitarsi verso quelle mani che non hanno mai smesso di essere tese verso di lei.
STOP. STOP all’odio. STOP all’odio per se stessi, che è la vera scintilla che porta l’odio dappertutto nel tentativo di spegnere e soffocare la vita nelle sue manifestazioni diverse e attraenti.
Quando leggete questo libro, oltre a farvi attraversare da quel bellissimo STOP a piè di pagina, ascoltate la voce di Martina. Seguitela passo passo, non distogliete mai l’attenzione da lei. Anche lei si trasforma, piuttosto velocemente, da Vittima a Essere Libero. Quando permette che la vita in lei risponda, anche sull’orlo del baratro infernale, tutto prende un altro passo, un’altra velocità, un’altra energia, un’altra forma.
E’ ora il momento che tutti noi ascoltiamo la vita in noi?
Gli autori
Stefano Peiretti nasce a Torino nel 1988, si laurea in Informatica presso l’Università degli Studi di Torino. Lavora come consulente informatico e docente. Appassionato di didattica, pedagogia, psicologia, teologia, letteratura, musica e iconofilia. Diacono transeunte presso la Chiesa VeteroCattolica. Attivista per i diritti civili e le pari opportunità. Autore di “Franco e Gianni – 14 luglio 1964” storia della prima coppia omosessuale sposata a Torino nel 2016. La sua determinazione nel lottare contro le discriminazioni e le violenze lo ha portato a scrivere questo libro.
Elisa Gani nasce a Torino nel 1972. Laureata in lingue e letterature straniere, lavora come tecnico autoptico presso l’ospedale di Ciriè (To). Ballerina professionista fin dalla tenera età. Appassionata di fotografia, si avvicina al mondo editoriale collaborando con la Pathos Edizioni come fotografa e coeditor. Grazie alla sua sensibilità di donna e capacità empatica si immerge nella scrittura di questo libro per dare voce a tutte le donne che hanno subito abusi.
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